A Bologna si è appena conclusa la Smart city exhibition organizzata da Bologna Fiere e Forum PA. Fra gli eventi un convegno su “Suburban Revolution. Le periferie al centro” introdotto da Gianni Dominici (direttore generale di Forum PA) e Camilla Perrone (coordinatrice del Laboratory of Critical Planning&Design Università degli Studi Firenze). Personalmente ho coordinato, insieme alla sociologa Roberta Paltrinieri dell’Università di Bologna, un tavolo sugli stili di vita suburbani al quale hanno partecipato esponenti della società civile, ricercatori e studenti di scienze sociali. Questa è la riflessione con cui ho introdotto i lavori utilizzando le tre slide che trovate in basso.
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La periferia più che un luogo è un punto di vista. È l’origine di uno sguardo eccentrico, per definizione, sulla comunità umana. Per questo l’esperienza della periferia contiene il seme dell’innovazione, della divergenza, della trasformazione. Esiste una civiltà periurbana che cinge d’assedio, in forma quasi ancestrale, quella che abita il centro alimentando una visione che potremmo definire alternativa, in qualche caso conflittuale, meglio ancora complementare dei bisogni sociali, dei processi economici, delle produzioni culturali. E anche di alcune pratiche individuali – come cercheremo di comprendere attraverso il nostro workshop – specifiche del vivere ai margini nelle diverse accezioni che questa espressione può assumere. Sapendo che la via spesso è quella della resilienza, dell’adattamento esistenziale ad un sistema che si dimostra in molti casi ostile all’individuo costringendolo a cercare soluzioni inedite, a misurarsi con l’imprevedibilità (per esempio nella tempistica del trasporto pubblico, come sanno bene i pendolari), a investigare nella mutualità, in qualche modo nel welfare fra pari, per sopperire alla carenza di servizi strutturati.
Ma a quali condizioni la “suburban revolution” di cui racconta Roger Keil – quarant’anni dopo quella urbana descritta da Henri Lefebvre – può accompagnare la metamorfosi del sistema insediativo nel suo complesso verso la città smart? E quali sono gli indicatori che emergono dalla periferia per vincere la sfida difronte alla quale si trova la società contemporanea, vale a dire quella per il clima? Le scelte dei singoli, insieme a quelle che si compiono all’interno delle entità sociali di primo livello, dal condominio al comitato di zona, costituiscono lo snodo prototipico di un cambiamento che si propaga orizzontalmente attraverso la prassi. Resta da capire se e come gli organismi della governance, per come si configura attualmente, possano cogliere il senso di questa autopoiesi facilitando l’espansione anche sul piano verticale di una modalità del vivere orientata sempre di più verso la condivisione nei consumi (argomento assai noto a Roberta Paltrinieri, che su questi temi porta avanti la propria ricerca), nelle scelte di mobilità, nella gestione dello spazio pubblico. In altri termini, verso la sharing society.
Proveremo a descrivere le diverse forme in cui si manifesta la “suburban way of life” fra coltivazioni comunitarie, riconquista dei terreni di convivialità che restituiscono autonomia anche alle periferie generazionali, come i bambini e gli anziani, progettazione collaborativa dei luoghi di vita. Senza dimenticare che la periferia urbana è anche una dimensione di profonda sofferenza, spaesamento, in molti casi d’illegalità diffusa mentre il degrado difficilmente si compensa tramite l’ingresso degli immigrati che rianimano con i propri nuclei familiari i territori o le azioni (sporadiche e spesso top-down) delle istituzioni. A questo bivio, fra declino e rigenerazione, si trovano ogni anno 60 milioni di persone in più su scala globale, nel 2050 saranno quasi 6 miliardi e mezzo gli abitanti che busseranno alle porte dell’edificio urbano. Sta qui forse la scommessa più importante per la periferia contemporanea, la grande opportunità identitaria per quanti vi abitano, quella cioè di rappresentare l’avanguardia di una civiltà nuova, che ottimizza le risorse e ricostruisce i legami di fiducia tra le persone, trovando nell’ecoquartiere l’infrastruttura urbana vocazionale per gli stili di vita coerenti con l’economia low carbon. Ma c’è da credere che se le cose dovessero andare diversamente, specialmente dove la pubblica amministrazione si chiamasse fuori dalle proprie responsabilità, saranno in molti a voltare le spalle alla metropoli cercando altrove, nei centri di piccola taglia, al di fuori dell’orbita urbana, il perielio del proprio radicamento.
Marco Fratoddi, direttore di Nuova Ecologia (il mensile di Legambiente) e direttivo di Stati generali dell’innovazione